lunedì 27 agosto 2012

The devils, di K. Russell


Giusto per proseguire il discorso "Russell"...

Lo vidi per la prima volta a 12 anni (!), e da quel momento, dopo essere rimasto folgorato anche da "The music lovers" e "Tommy", decisi che Ken Russell sarebbe diventato il mio regista preferito, e in effetti lo fu per diversi anni.
Oggi l'ho molto ridimensionato (vedasi il post immediatamente precedente), ma "I diavoli" rimane uno dei suoi pochi film che ancora adesso riesco ad apprezzare e a salvare quasi del tutto.
Non è certo un'opera perfetta: senza qualche compiacimento di troppo (specie nella blasfemia), con qualche provocazione in meno, con un maggior contegno nelle macchiettizzazioni e nei manicheismi che rischiano di annacquare a tratti la forza dell'invettiva, e magari con un po' di retorica e di teatralizzazione in meno (soprattutto nella recitazione), Russell avrebbe confezionato un'opera artisticamente più matura.

Ma tutto questo distacco critico, ahimè, va a farsi benedire quando, ogni volta che lo rivedo, non riesco a non entusiasmarmi come un bambino di fronte a questo autentico spettacolo per gli occhi, tanto ripugnante quanto dannatamente attraente, in cui lo spirito del kolossal storico si coniuga in maniera stridente con un (pessimo) gusto estetico decadente; così come di fronte alla maestosità di una messinscena nella quale si fondono alla perfezione le incredibili scenografie di cartapesta di Derek Jarman (ispirate a "Metropolis" di Lang), gli altrettanto assurdi costumi di Shirley Russell (rifacentisi invece a "Aleksander Nevskij" di Ejseinstein), il caos sonoro, infernale e dissonante (forse con echi "varesiani") di Peter Maxwell-Davies, e ovviamente, su tutto, il talento visivo del regista, che riesce a fondere tutto ciò ricreando sullo schermo un universo visivo che sembra uscire direttamente dalle tele di Bosch, Brueghel e Goya, facendo avvertire quasi sensorialmente allo spettatore lo spirito di un'epoca corrotta, oscura e malata, e di un evento storico in cui le più basse pulsioni umane hanno trovato libero sfogo.
A tutto ciò, si aggiunge un finale che sembra la versione sonorizzata di quello de "La passione di Giovanna d'Arco" (e il riferimento è palese), girato da un Dreyer strafatto di cocaina e in pieno deliquio mentale.

Non un capolavoro quindi ma, datemi pure dello scellerato, personalmente preferisco l'approccio espressionista e "sensoriale" di Russell, pur con tutte le sue imperfezioni, alla maniacalità filologica e all'illustrativismo di alcuni film di Visconti.

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