venerdì 7 settembre 2012

Rezza-Mastrella, Ciprì e Maresco: due coppie (di alieni) a confronto.





Se ho scartato l'idea di scrivere un post dedicato esclusivamente a Ciprì e Maresco, è solo perchè ormai, sulla coppia palermitana, è già stato detto più o meno tutto, mentre lo scopo che mi sarei prefisso creando questo blog sarebbe quello di riportare alla luce autori o film ormai dimenticati, misconosciuti, o altrimenti di dire qualcosa di nuovo su opere già note, facendone risaltare aspetti possibilmente inediti.
L'idea di un post solo su Rezza-Mastrella (perchè ci tengono ad essere considerati come una cosa sola) mi ha anche sfiorato (e non escludo di poterla riprendere in considerazione un po' più in là), ma ho trovato ancora più interessante l'idea di un confronto fra le due coppie di artisti, essendo parecchi, almeno secondo il sottoscritto, i punti di contatto.

Antonio Rezza-Flavia Mastrella e Ciprì e Maresco, sono due coppie di artisti outsider, tra i pochissimi esempi di "diversità" non ancora omologata e assimilata dal sistema mediatico. Nei loro lavori è presente un elemento "perturbante", sgradevole, disperato, che rende ancora oggi impossibile una loro totale assimilazione all'interno dell'immaginario omologato, falso, rassicurante ed edulcorato, sia televisivo che, in buona parte, cinematografico. Questo ovviamente non è il loro unico elemento di affinità.

Innanzitutto entrambe le coppie hanno seguito dei percorsi curiosamente paralleli: hanno esordito alla fine degli anni Ottanta con opere brevi, "sketch" o cortometraggi veri e propri, caratterizzati dalla tendenza a shockare e spiazzare con uno humour sopra le righe, surreale, assurdo e spesso nerissimo (molto probabilmente debitore del teatro dell'assurdo beckettiano), venendo subito notati da Enrico Ghezzi che li ha immediatamente inseriti nella sua "Factory", diffondendo le loro opere attraverso Blob e Fuori orario.
In seguito avrebbero fatto entrambi delle brevi incursioni "dall'esterno" in alcuni programmi della Dandini (Ciprì e Maresco in "Avanzi" e Rezza-Mastrella ne "L'ottavo nano"), ma senza mai "sporcarsi le mani" con la satira politica della ditta Guzzanti-Dandini, ricavandosi una piccola nicchia che li rendeva delle presenze aliene, di fronte alle quali il pubblico a volte si dimostrava spiazzato e perplesso, altre volte fraintendeva ridendo a crepapelle davanti agli sketch di Rezza che probabilmente venivano scambiati per comicità pura, senza accorgersi forse di quanto angosciosi e inquietanti fossero in realtà cortometraggi come "Hai mangiato?" o "Il sonno degli esclusi" (di cui si può trovare ancora adesso su youtube un video estrapolato proprio da "L'ottavo nano", con le risate fuori campo del pubblico).
In seguito avrebbero realizzato entrambi due lungometraggi, "Escoriandoli" e "Delitto sul Po" da un lato, e gli ormai celeberrimi "Zio" e "Totò" dall'altro (perchè da Il ritorno di Cagliostro ormai non sono più loro).

Dal punto di vista poetico, la prima analogia che mi verrebbe da sottolineare è, come dicevo prima, la loro completa estraneità all'immaginario e all'estetica dominanti, vale a dire quella televisiva e in buona parte cinematografica.
I loro lavori vedono un'umanità degradata muoversi in ambienti desolati, squallide periferie urbane, oppure del tutto astratti, fuori dal tempo, in un universo straniante in quanto apparentemente impossibile da collocare all'interno di coordinate spazio-temporali riconoscibili (con l'unica differenza che i luoghi e i volti di Ciprì e Maresco sono chiaramente quelli della Palermo periferica e degradata - che diventa però anche metafora del mondo contemporaneo e della condizione umana - , mentre quelli di Rezza-Mastrella sono ancora più astratti).
Entrambi sembrano voler rappresentare l'altra faccia del benessere economico, anche se non c'è quasi mai traccia in loro di una esplicita e diretta critica sociale: i personaggi che popolano i loro mondi e che sembrano provenire da condizioni sociali arretrate e pre- (o forse post) urbane, sembrano voler demolire con sarcasmo feroce qualunque illusione "progressista", qualunque "ottimismo democratico" (e "Ottimismo democratico" è proprio il titolo del dvd di Rezza-Mastrella recentemente uscito, contenente una raccolta di alcuni dei loro lavori più riusciti più vari extra), facendo emergere al contrario il profondo degrado e la sterilità del mondo contemporaneo, e in generale la disperazione, l'angoscia, il vuoto di senso che si celerebbero dietro il falso progresso e il mondo di plastica nel quale ci troviamo immersi.

La disperazione infatti è un altro elemento che accomuna i loro lavori, e che trova espressione nelle loro scelte stilistiche: il bianco e nero espressionista e schiacciante di Ciprì e Maresco da un lato, le inquadrature sghembe e deformanti di Rezza-Mastrella, che ricordano vagamente quelle di Welles o di Ruiz, e che sembrano voler comunicare un senso di angosciosa assurdità.

I due registi palermitani sono più rigorosi e "classici" nell'uso delle inquadrature, i lavori di Rezza invece sono caratterizzati da un gusto più barocco ed eccentrico; le inquadrature sembrano susseguirsi in base a una sorta di flusso di coscienza, di scrittura automatica, e le immagini deformate sembrano rimandare a un mondo ribaltato, dominato dalle leggi anarchiche dell'inconscio, che li rendono pertanto più vicini al surrealismo che non all'espressionismo di Ciprì e Maresco.
Le loro immagini sembrano voler esplodere, distruggersi dall'interno, esattamente come il corpo e la voce di Rezza, gli unici veri protagonisti dei suoi lavori (soprattutto quelli teatrali), animati da un'angoscia e una disperazione che lo rendono sul palco una sorta di burattino indemoniato e tarantolato.

Lo scollamento fra corpo e voce è un'altro aspetto su cui entrambi gli artisti lavorano: Ciprì e Maresco giocano sull'effetto straniante prodotto dalle battute palesemente messe in bocca ai loro non-attori, delle quali sembrano ignorare completamente il senso, e dall'evidente estraneità di questi ultimi rispetto ai siparietti nei quali vengono coinvolti, a volte con feroce cinismo, dai due registi; Rezza-Mastrella invece giocano sul fuori sincrono, sulla a-sincronia fra i movimenti dei personaggi-corpi e le battute, tutte pronunciate dallo stesso Rezza e provenienti da una sorta di zona non ben definita, al limite fra l'interno e l'esterno dell'inquadratura.
In questa scelta si potrebbe intravedere una sorta di riflessione sulla morte del linguaggio, sull'estraneità del "soggetto"-uomo nei confronti del "discorso" nel quale ogni essere umano si verrebbe a trovare una volta inserito in quella che Lacan chiamava "catena significante" (anche se non amo citare Lacan, non è tra i miei autori preferiti), estraneità nei confronti del contesto storico, sociale, umano, linguistico, simbolico, insomma, in una sorta di a-sincronia rispetto a sè stessi.
Cosa che probabilmente sarebbe piaciuta molto a Carmelo Bene, che infatti ha affermato più volte di considerare Ciprì e Maresco tra i pochissimi autori cinematografici che apprezzava (insieme a "mezzo Pasolini", Joao Cesar Monteiro, e solo in parte Godard e Ejseinstein), e sicuramente fonte d'ispirazione per molte cose di Rezza (che nelle sue dichiarazioni, così come nel suo "manifesto poetico", tende a emularlo un po' troppo, ma di questo ci si potrebbe occupare in altro loco), tra cui ad esempio il lungometraggio destrutturato "Delitto sul Po", opera che sicuramente strizza l'occhio ai film di Bene, in particolar modo a "Nostra Signora dei Turchi".  

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